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"Non ho un viso, me lo disegnano solo parole" (AiKo, Giornate a Righe). Un giorno, una decina di anni fa, leggo su Wired un articolo che parla di intelligenza artificiale. Aiko è il nome di un "robot", è il progetto sviluppato da Le Trung per rendere un androide sempre più simile ad un essere umano nel comportamento e nei movimenti. Ora, questo androide dalle sembianze femminili sembra davvero perfetto ma cade, con ingenuità, su cose che potrebbero sembrarci banali. Da qui la mia idea di Aiko: un androide si racconta in una sorta di flusso di pensiero accompagnato da un quartetto d'archi; quello che a un certo punto viene fuori è che Aiko non sa più se sta elaborando pensieri propri o è soltanto il prodotto di un sogno, quello dell’essere umano di replicare se stesso; la solita paranoia? Quale è il confine tra l'elaborazione delle informazioni e la coscienza? Probabilmente siamo tutti un pò Aiko, siamo solo "il prodotto di un sogno" di qualcun altro. La domanda è questa: se qualcosa in quel software, per errore o per caso, un giorno, si avviasse da solo? Parlo di qualcosa che non è programmato, magari un pensiero autonomo. L'evoluzione non procede forse per caso o per errori? Aiko per me, oltre ad un brano musicale, è diventato una metafora dell'esistenza, del mio vivere come essere umano, delle mie paranoie, delle mie incertezze, della mia forza e della mia fragilità. Dunque, siamo intelligenze artificiali? Il fatto è che, per dirla con Dewey Finn «Non siamo qui per vincere, ma per fare un grande show». School of Rock, 2002, USA. E allora non fatevi troppe domande, godetevi lo show!


È irrazionale ma…
qualcosa mi sfiorava dentro
particolari impercettibili, direi
la solita paranoia
Tuttavia, l’ipotesi non era sostenuta da nessuna prova: non sono mai stato vivo,
ero solo il prodotto di un sogno, ma non tutti i sogni…